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Per comprendere a fondo l’esistenza del carcere è necessario volgere uno
sguardo al funzionamento della società odierna. L’istituzione penitenziaria
vede le sue origini circa 200 anni fa, in concomitanza con lo sviluppo del
mondo industriale a regime capitalistico. Coloro che vengono trapiantati nei
centri urbani, destinati al ruolo di appendici della macchina, vengono relegati
ai gradini piu’ bassi della gerarchia sociale. In tal modo la schiavitù,
imposta dal nuovo modello di produzione, crea una sterminata massa di
diseredati. Precisamente in questo contesto le classi dominanti necessitano di
proteggere la proprietà dei mezzi capitalistici, indispensabili al corretto
funzionamento dello sfruttamento salariale. Fin da subito il carcere diventa
luogo di raccolta per tutti coloro che sono costretti a vivere ai margini di
questa nascente società. Il trend delinquenziale di allora rispecchia quello
attuale: gran parte dei reati commessi sono contro il patrimonio. Ma nel corso
della sua storia l’istituzione carceraria ha subito un’evoluzione, modificando
i propri connotati. Ormai è diventata un’isola nella città mediante la
costruzione dei suoi aberranti edifici in luoghi sempre piu’ appartati. I propri
regolamenti interni hanno assunto man mano un carattere sempre piu’
disciplinare: castighi e restrizioni per i piu’ indomiti, benefici e sconti di
pena per i piu’ acquiescenti. La censura è uno di questi metodi; utilizzata per
filtrare la comunicazione fra reclusi e non. Nelle scorse settimane alcuni
detenuti, rinchiusi alla “Farera” e alla “Stampa” di Lugano, hanno provato a
scrivere all’indirizzo postale aperto dal gruppo anticarcerario locale, ma cio’
è stato loro impedito. Rompere l’isolamento penitenziario e le ulteriori
limitazioni che lo caratterizzano è un passo fondamentale per cominciare a
immaginare la propria vita al di fuori delle mura di cinta della democrazia.
Senza censura
Contro ogni galera